HRcoffee: il vero senso della people analytics

Fonte: ImpresaCity.it

Ci sono aziende tecnologiche per le quali è impossibile comprendere appieno il valore delle soluzioni che offrono se non si parte dalla loro visione concettuale, ben prima di affrontarne le componenti strettamente tecniche. È un concetto che cercava spesso di evidenziare anche Steve Jobs nei suoi keynote, ponendo idealmente Apple all’intersezione tra la tecnologia e le “liberal arts”. Il valore di Apple, intendeva tra l’altro dire Jobs in questo modo, non era mai stato solo nella sua tecnologia ma nel modo in cui essa operava in sinergia con elementi non altrettanto “hard” (nel senso della diatriba tra “hard science” e “soft science”) e li supportava.

HRcoffee non è Apple, anche perché fa cose diverse. Ma l’approccio del CTO e fondatore Davide de Palma di certo non sarebbe dispiaciuto a Steve Jobs. Perché tecnicamente HRcoffee fa una cosa che è semplice indicare – in sintesi, applica le tecnologie dell’intelligenza artificiale alla gestione del capitale umano, con quella che tecnicamente si chiama people analytics – ma il cui valore deriva dalla combinazione tra tecnologie avanzate e una visione concettuale molto incentrata sulla persona – in questo caso, il dipendente – e su elementi intangibili ma sempre più essenziali nel New Normal.

Tra competenze e performance

Il tema in particolare è, nell’ambito dello Human Capital Management, la valutazione delle prestazioni di una organizzazione. In questo campo, è da quando si è iniziato a parlare di knowledge worker che le aziende hanno cominciato ad assorbire davvero il concetto, peraltro non nuovo, che elementi intangibili come le competenze e il know-how dei dipendenti hanno una grande importanza nel portare valore all’impresa. Questa apertura all’intangibile però spesso si perde quando dalla teoria si passa alla pratica della valutazione delle performance delle organizzazioni. “Ancora oggi, dopo oltre un secolo di teorizzazioni, l’elemento cognitivo non è preponderante quando si cerca di capire come migliorare il processo di performance“, spiega de Palma.

La people analytics

Per arrivare a questa consapevolezza e mantenerla serve la people analytics, che rappresenta il nocciolo dell’attività di HRcoffee: una forma di analisi evoluta dei dati relativi a dipendenti e collaboratori. Il primo passo è la mappatura delle competenze, che si costruisce partendo dalle informazioni sui dipendenti che il dipartimento HR già possiede, ma anche analizzando le interazioni che i dipendenti hanno all’interno della piattaforma che HRcoffee porta nelle imprese. Questa si presenta a dipendenti e collaboratori come un vero e proprio ambiente da vivere quotidianamente. Con, tra l’altro, funzioni di collaborazione, comunicazione interna, task/project management, formazione collaborativa in logica peer-to-peer.

Come minimo, questa mappatura consente all’azienda di vedere bene che competenze possiede e quali invece eventualmente le mancano (di fatto, una gap analysis). Questa fotografia costantemente aggiornata è già un elemento prezioso per l’impresa, perché le consente di sapere dove si trova in un ideale percorso di sviluppo del capitale umano. Permettendole di agire sia a livello dei singoli dipendenti, di cui ora ha un ritratto preciso che va ben al di là dei curriculum e dei ruoli, sia come organizzazione nel suo complesso.

Ma c’è, ovviamente, di più. L’analisi dei dati di HRcoffee permette di arrivare a quello che potremmo definire come il “cognitive digital twin” dell’organizzazione. E questo, come ogni buon gemello digitale, permette simulazioni mirate di ciò che potrebbe accadere in futuro. Qui gioca un ruolo chiave la tecnologia Watson di IBM, che aggiunge l’elemento predittivo alla mole delle conoscenze raccolte. Ad esempio, per capire come cresce ogni tipo di competenza in risposta a determinate azioni o per prevedere in quanto tempo e in che modo è possibile sviluppare le skill interne in funzione di obiettivi prefissati.

Abbiamo scelto Watson – racconta de Palma – perché IBM è stata l’unica a parlare sin dall’inizio di intelligenza cognitiva e in campo HR la logica tradizionale dell’AI, ossia evidenziare trend a partire da grandi moli di dati, non è completamente applicabile. Il dipartimento HR di un’azienda ha pochi dati, perché il campione da analizzare è fatto solo dai dipendenti e questi variano, bene o male, poco. I dati e gli indicatori sono quindi limitati, serve l’intelligenza cognitiva perché questa permette di analizzare bene campioni ristretti“.

E se le tecnologie sono ovviamente importanti, lo è anche la possibilità di operare all’interno di un ecosistema di realtà e competenze focalizzate in modo specifico sull’intelligenza artificiale, che possono colaborare fra loro. E, perché no, “contaminarsi” positivamente. In questo senso HRcoffee fa parte del progetto Tech Lab di Tech Data Italia, che crea sinergie tra fornitori di soluzioni e system integrator, in modo di adattare le potenzialità dell’AI alle specifiche esigenze della singola azienda utente.

Un mercato di prospettiva

Nella people anlaytics le tecnologie sono ovviamente indispensabili ma, avvisa de Palma, non sono tutto: “Noi costruiamo un sistema di analisi, monitoraggio e previsione, ma soprattutto proponiamo una metodologia. Un percorso non banale di sviluppo in cui la tecnologia non è un componente mirato ma è sistemica. Abilita processi di gestione che vengono dal basso, forme di social innovation per cui un’azienda deve essere pronta. La libertà crea creatività, certo, ma richiede anche la capacità manageriale ‘offline’ di gestire processi destrutturati“.Non è detto quindi che la people analytics di HRcoffee sia per tutti, al momento, e la software house pugliese nemmeno se lo aspetta. Ma in prospettiva sì: “Il mercato c’è, non è enorme – spiega de Palma – ma può diventarlo nei prossimi anni: man mano che la fisicità viene meno, le organizzazioni devono comprendere la conoscenza che hanno al proprio interno e che fa la differenza rispetto al loro settore“. La pandemia e i lockdown hanno accelerato anche questo fenomeno, rendendo chiaro alle aziende che devono “conoscersi” meglio digitalmente perché non possono avere tutte le loro risorse sempre a portata di ufficio.

Il ragionamento va però oltre l’effetto della pandemia. Le aziende stavano e stanno cambiando comunque, spiega De Palma: “Può sembrare strano che i manager possano gestire le performance d’impresa utilizzando dashboard legati all’elemento cognitivo. Ma l’importanza che la conoscenza, e quindi i processi che portano al suo reale utilizzo, sta assumendo nelle imprese è preponderante“. Meglio quindi prepararsi alla scomparsa di paradigmi aziendali e organizzativi che sembravano immutabili, come l’importanza fondamentale del luogo fisico di lavoro. D’altronde, stiamo vivendo la Quarta Rivoluzione Industriale. E tutte le precedenti hanno cambiato drasticamente il volto delle imprese.

Fonte: ImpresaCity.it 

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